UN MESE fa in una mia nota ho ricordato che nell’Allegato Infrastrutture al Documento di Economia e Finanza del 2010, nel mio ruolo di Responsabile della Struttura Tecnica di Missione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, inserii la stima del danno prodotto al Paese dalla assenza di una offerta infrastrutturale adeguata, soprattutto quella legata alla organizzazione del sistema logistico. In particolare nel 2010 la stima risultò pari a 54 miliardi di euro all’anno. Inizialmente da più parti, in modo particolare da quella che definisco la “intellighenzia economica”, ci furono forti critiche sul dato in quanto sovrastimato e, soprattutto, supportato da una analisi poco approfondita. Dopo un anno però, in occasione dell’Assemblea della Confetra, il dato non solo fu confermato ma fu elevato a 62 miliardi di euro e nello stesso anno la Confcommercio fece presente che il danno superava annualmente anche i 65 miliardi di euro.
Oggi dopo circa 12 anni scopriamo una serie di dati che fanno davvero paura. Comincio con quanto è emerso proprio in questi giorni da una ricerca effettuata dal Centro Studi Divulga per conto della Coldiretti; in particolare tale ricerca ha precisato: nel 2022 sono stati persi 93 miliardi di euro a causa dei ritardi nel processo di ammodernamento e potenziamento della rete infrastrutturale. Sono poi interessanti i dati relativi ai settori più colpiti come ad esempio il comparto agro alimentare per il quale a fronte di un valore di 60,7 miliardi di export del 2022 la perdita è stata di 9 miliardi di euro. Ancora più grave quanto emerso da un lavoro fatto dal World Economic Forum in merito all’indice di competitività: l’Italia si colloca al trentesimo posto rispetto ai principali competitor a livello mondiale; nelle prime due posizioni ci sono Singapore e Stati Uniti, i Paesi Bassi sono quarti, la Germania settima, la Francia quindicesima e la Spagna ventitreesima. Se entriamo nel merito dei vari comparti che portano il nostro Paese al 30° posto scopriamo ad esempio che nel sistema legato al trasporto ed alla logistica l’Italia è diciassettesima per competitività nelle infrastrutture e tale soglia è stata raggiunta perché nel trasporto marittimo il nostro Paese è addirittura sceso al 24° posto.Nel 2003 quando, nel Gruppo presieduto da Karel Van Miert e composto da un rappresentante delegato da ogni Paese della Unione Europea, cominciammo a identificare i Corridoi portanti dell’intero assetto comunitario, corridoi che avrebbero dato vita al sistema delle Reti TEN – T, ricordo che ci soffermammo a lungo proprio sul Corridoio 1 (Berlino – Palermo). E la realizzazione di un collegamento stabile tra la Sicilia ed il continente diventava condizione obbligata per la incisività e la validità funzionale dell’intero Corridoio; infatti grazie alla limitata distanza tra il continente e l’isola il progetto del ponte regalava non solo all’Italia ma alla intera Unione Europea la possibilità di annullare la serie di negatività posseduta da una delle isole fondamentali, con i suoi 5 milioni di abitanti, della vasta famiglia delle isole dell’intero sistema comunitario. Effettuammo anche, con l’aiuto della BEI che sovraintendeva ai lavori del gruppo, una serie di approfondimenti relativi al PIL posseduto dall’isola in assenza di un collegamento stabile e al PIL; emerse che la realizzazione del ponte avrebbe compromesso una crescita del PIL della Regione di oltre il 30%. Oggi i vari organismi competenti della Regione Sicilia con il supporto della Società Prometeia hanno effettuato un interessante studio mirato ad individuare proprio i “costi della insularità”.
Da tale lavoro pregevole è emerso che l’insularità è in primo luogo un fattore limitante delle opportunità di crescita, nella misura in cui “produce ritardi di sviluppo sociale ed economico e fa degli isolani cittadini con diritti ridotti e affievoliti rispetto ai cittadini della terraferma. Si pensi solo all’annoso problema dei trasporti, che fa lievitare i prezzi dei servizi. Essere un’isola sconta uno svantaggio naturale che non mette in condizioni di pari opportunità con gli altri abitanti della penisola”. La stessa Commissione Europea, sempre secondo tale ricerca, considera, infatti, le Regioni insulari meritevoli di azioni e politiche per recuperare tali divari in coerenza con gli obiettivi della Politica di Coesione. Inoltre i risultati di una Ricerca dell’Istituto Bruno Leoni dimostrano che il gap della Sicilia in termini di maggiori costi di trasporto la rende la Regione italiana con l’indice più elevato. Per la Sicilia, utilizzando la media pesata con il PIL, il gap nei costi di trasporto raggiunge il 58,8 per cento rispetto alla media nazionale. Un primo approccio basato sull’analisi dei principali elementi che determinano lo sviluppo di un territorio insulare individuati nei fattori “dimensione”, “distanza” e “vulnerabilità”. A seguito dell’applicazione di un modello regressivo, è stata ottenuta una stima econometrica che quantifica il costo dell’insularità per la Sicilia in circa 6,54 miliardi di euro pari al 7,4 per cento del PIL regionale (a valori correnti dell’anno 2018). Un secondo approccio, basato sulla determinazione dei maggiori costi di trasporti che penalizzano la Regione e sul loro impatto sugli operatori economici e sui vari settori di attività, ha condotto ad una stima dell’impatto che una riduzione dei prezzi del settore “Trasporti e magazzinaggio” può determinare sull’economia siciliana. Secondo questa procedura, l’effetto positivo di una riduzione tale da equiparare i costi di trasporto della Sicilia a quelli medi del Mezzogiorno continentale, determina un aumento del PIL complessivo regionale (2018) pari al 6,8 per cento, quantificabile in circa 6,04 miliardi di euro. Di fronte a tali dati oggettivi, di fronte a queste capillari analisi diventa davvero penoso ed inconcepibile l’atteggiamento di chi continua a dubitare della essenzialità dell’opera, come il Ponte sullo Stretto (più avanti parleremo dei fondi necessari a realizzarlo), la cui mancanza produce annualmente un danno alla economia della Sicilia di oltre 6 miliardi, di un danno che amplifica ulteriormente quella soglia di 93 miliardi di euro l’anno che caratterizza la offerta infrastrutturale del Paese.